A lungo tempo fanalino di coda dell’Italia enologica, negli ultimi anni la Calabria si è imposta nel panorama vitivinicolo nazionale per una rinascita qualitativa senza precedenti. Per decenni la Calabria del vino ha arrancato, preferendo produzioni vaste di vini a basso costo e bassa qualità. La responsabilità va ascritta in prima battuta agli stessi produttori calabresi che hanno vivacchiato all’ombra di un’identità confusa, disciplinari non rispettati o troppo laschi e permissivi, garbugli onomastici (Gaglioppo per Magliocco, Mantonico per Montonico, Greco Bianco per Greco di Bianco), senza ribellarsi e senza giocare di squadra, complice anche la difficoltà atavica di fare impresa in un territorio economicamente depresso e l’innata propensione a vedere il vicino quasi sempre e soltanto come un concorrente e mai come un alleato nella valorizzazione del proprio territorio.
Il riscatto passa sempre per un sussulto di orgoglio, accompagnato da umiltà e grande dedizione nel lavoro. Il riscatto, o almeno il tentativo in corso, della Calabria del vino passa per una rinascita qualitativa che ha tra i protagonisti senza dubbio un manipolo di giovani produttori di Cirò (Francesco De Franco di ‘A Vita, Sergio Arcuri, Cataldo Calabretta, Mariangela Parrilla di Tenuta del Conte, i fratelli Scilanga di Cote di Franze) che sono stati in grado di mutare lo status quo portando di nuovo all’attenzione nazionale un territorio vocatissimo, come quello di Cirò e una grande uva: il Gaglioppo.
Mettendo da parte la presenza di alcuni storici produttori, che per anni hanno predicato nel deserto, ognuno seguendo la propria strada ma cercando di dare lustro alla propria terra (Librandi, Odoardi, Statti, Malaspina, Tramontana, Ferrocinto, Caparra & Siciliani), va sottolineato che in altri distretti vinicoli della regione il risveglio qualitativo ha prodotto sussulti degni di nota, buona parte dei quali nella provincia di Cosenza (L’Acino e Masseria Perugini a San Marco Argentano, Spiriti Ebbri a Spezzano Piccolo, Biagio Diana e Giuseppe Calabrese a Saracena), e mosche bianche come le vibonesi Casa Comerci (Nicotera) e Cantine Benvenuto (Francavilla Angitola).
Le vigne
Ora c’è da aspettarsi e da augurarsi il risveglio qualitativo della punta meridionale della regione, area estremamente vocata per la viticoltura (soprattutto il versante ionico) nella quale soltanto poche realtà aziendali hanno caparbiamente resistito e non si sono piegate al conferimento o addirittura all’espianto.
Peccato che, in un panorama in mutamento, solo pochissimi produttori abbiano finora creduto e investito a dovere sull’altra grande uva in grado di risollevare le sorti enologiche della regione (e dell’areale colturale della bassa costa ionica e della Locride in particolare): il Mantonico.
Da non confondersi con il Montonico (varietà prevalentemente dell’Italia centrale), il Mantonico è un antico vitigno autoctono calabrese a bacca bianca. Le sue origini restano ancora piuttosto misteriose. Potrebbe trattarsi di una varietà introdotta in Italia all’epoca della prima colonizzazione ellenica della Locride o forse domesticata in epoca remota nell’area dell’antica Enotria. Le origini greche sembrerebbero confermate dal nome del vitigno, la cui radice potrebbe derivare dal termine greco Μαντισιος (divinatorio-profetico), legato a un antico uso del vino a scopo cerimoniale e propiziatorio.
Il grappolo è di medie dimensioni, di forma cilindrica, corto, mediamente spargolo, con un acino di dimensioni medie, di forma ellissoide. La buccia è poco pruinosa, spessa e di colore giallo dorato e ricca di tannini. La polpa ha sapore dolce e acidulo al tempo stesso. È prevalentemente allevato ad alberello e, da qualche anno, anche su cordone speronato orizzontale.
Oggi è coltivato soprattutto lungo il litorale ionico della Calabria, ed è diffuso soprattutto nel comune reggino di Bianco, qualche traccia è presente anche più a nord della fascia ionica, nei comuni di Casignana, Locri, Palizzi e Monasterace, fino a toccare la Valle del Neto, nel Marchesato crotonese. Si tratta di una regione collinare, caratterizzata da terreni calcareo-argillosi, particolarmente vocati per le uve bianche. Il clima è mediterraneo, con estati molto calde e secche, mitigate dalle brezze del mare.
Le caratteristiche di quest’uva, molto simili a quelle del Grillo siciliano, la rendono particolarmente adatta a diversi sistemi di vinificazione per ottenere bianchi fermi, spumanti, orange wine, passiti e vini da meditazione e in stile ossidativo (come un Marsala pre british per intenderci). Utilizzato spesso in uvaggio, il Mantonico predilige tuttavia le vinificazioni in purezza.
È una varietà a maturazione tardiva e il clima secco della Locride, unito alla presenza di una buccia resistente, hanno favorito la consuetudine di far appassire le uve su graticci prima di procedere alla fermentazione, in modo da ottenere vini dolci e concentrati. Sono vini da dessert dal colore dorato, con riflessi ambra, molto apprezzati per gli aromi floreali e agrumati, uniti a note di miele e frutta secca. Al palato esprimono una suadente morbidezza gustativa, unita a gradevole freschezza e grande persistenza finale.
Uve in appassimento
Le versioni vinificate in secco, mettono in luce struttura e un buon corredo aromatico, con note d’agrumi, frutta matura, pesca, albicocca, che con il tempo tendono ad arricchirsi d’eleganti sentori di pietra focaia e cera d’api. Gli aromi fruttati sono sempre sostenuti da una viva vena acida, che conferisce al vino scorrevolezza e bevibilità. Nel caso di una breve macerazione sulle bucce, il vino acquisisce una leggera ruvidità tannica, molto caratteristica e piacevole al palato.
Tralasciando volutamente le versioni in cui è vinificato in blend con altri vitigni del territorio, eccovi di seguito le migliori etichette di Mantonico in purezza.
Centocamere Spumante Metodo Classico 2017, Barone G.R. Macrì ( Locri, RC) – Giallo paglierino luminoso, con leggere sfumature verdoline. Bouquet fine e complesso, estremamente territoriale, articolato su note di clementina e bergamotto, e poi pesca bianca, gelsomino e zagara, richiami di erbe aromatiche (timo e menta). Gusto subito fresco, morbido ed agrumato. Carbonica elegante. Tensione sapida e minerale. Chiusura pregevole.
Calabria Igt MantonicoZ 2016, L’Acino (San Marco Argentano, CS) – Un orange wine ottenuto dalla vinificazione (e macerazione per 8 giorni) del Mantonico Pinto, un biotipo localizzato nella zona del Pollino, fragile e scarsamente resistente alle malattie della vite, la cui coltivazione si è progressivamente ridotta fino quasi a scomparire. Color giallo oro antico. Spettro olfattivo molto ampio giocato su toni di agrumi, frutta gialla matura, fiori di sambuco e di mandorla fresca, con note vegetali di capperi e salamoia. In bocca, il vino è ricco. Fortemente minerale, salmastro, con una bella e vibrante acidità. Si sviluppa con armonia su note fruttate, chiudendo con grande energia su una scodata leggermente amarognola e salata.
Vivavì Bianco 2017, Masseria Perugini (San Marco Argentano, CS) – Si tratta di una scoperta recente per chi scrive. Nel calice si presenta con una veste dorata, figlia di due giorni di macerazione sulle bucce, e con una leggera velatura (non filtrato). All’olfatto esprime profumi di zagara, agrumi, pesca, frutta gialla e sentori iodati e di pietra focaia. In bocca il frutto denso e maturo e le morbide sensazioni di miele sono perfettamente bilanciate da una grande freschezza e da una buona sapidità, che si fondono con un tannino levigato e concorrono ad un finale con richiami di mandorle e sale dalla lunga persistenza.
Locride Igt , Maria Baccellieri (Bianco, RC) – Nel calice ha una veste giallo ambrata con riflessi ramati. Naso delicato di scorza di arancia candita, bergamotto, miele di acacia e frutta secca (fichi e datteri) e ancora note di camomilla e gelsomino e sbuffi salini. In bocca è caldo e morbido, dotato di grande freschezza e sapidità. Finale lungo e piacevole giocato sul contrasto tra il dolce acidulo della confettura di arancia e una scia di sale.
La speranza è che in futuro il lotto di vini ottenuti da uve Mantonico in purezza, siano essi spumanti, bianchi fermi, orange wine o passiti, cresca e che di pari passo cresca la qualità perché è soltanto attraverso la riscoperta e la valorizzazione dei grandi vitigni autoctoni che può e deve proseguire la rinascita enologica della Calabria, una regione che vanta un patrimonio ampelografico straordinario con tantissimi vitigni autoctoni.