Ogni volta che scendo in Calabria – anzi nelle Calabrie, ché la regione è qui plurale per motivi storici e territoriali – mi prudono i polpastrelli della dita, specie dopo un percorso articolato come quello di quest’estate (Pollino, Reggio Calabria e provincia, costa crotonese). Non c’è luogo della regione che non contenga un paesaggio mozzafiato, borghi sconosciuti e bellissimi, specialità gastronomiche uniche. Non c’è luogo della regione, soprattutto se costiero, dove bellezza e sfacelo non si contaminino con effetti deformanti, pittoreschi, grotteschi.
Pochi altri luoghi italiani muovono sentimenti così contrastanti, così potenti, così feroci, dove ammirazione e sdegno, entusiasmo e mortificazione si aggrovigliano e mescolano senza tregua e senza speranza.
Chi realmente conosce la Calabria al di là dello stereotipo che la vuole solo arretrata, ignorante, folcloristica?
Inizia così il bellissimo articolo di Massimo Zanichelli sul periodico online L’acqua Buona:
A Bianco, ad esempio, dove il mare si tinge d’azzurro e le spiagge hanno un colore chiaro, e dove si dice siano anticamente sbarcati i Greci, giusto nei pressi di Capo Bruzzano che oggi è meta turistica e parcheggio di auto arroventate dal sole d’estate, la cittadina moderna è figlia dell’opera di cementificazione successiva allo spostamento della popolazione dai paesi d’altura (dov’erano costruiti originariamente, in posizione sicura rispetto alle incursioni di predoni e pirati provenienti dal nord Africa e dal medio Oriente) ai paesi della marina (da cui il doppio nome di molti nuclei urbani).
Me lo racconta Mariolina Baccellieri, produttrice di vino, mentre guardiamo il mare e l’abitato dalla terrazza della sua bella casa, che ancora contiene una parte della vecchia cantina. È stato il padre Vincenzo a trasmetterle il «sentimento per il vino e per la sua terra». La portava con sé in campagna, le faceva ascoltare le fermentazioni nelle vecchie botti di legno («Senti il vino che bolle»). Mariolina è una signora gentile quanto combattiva: il suo sguardo è dolce ma fermo.
«Non ho fatto nessun business plan prima di cominciare, ho cominciato e basta, partendo dal Greco di Bianco e sentendomi dare della pazza. Non ho più venduto né uva né mosto e ho prodotto il mio vino. Ho fatto una scelta d’istinto, di passione. Sembrava una follia: non avevo conoscenze, ero zero su tutto. Mi sono detta: vendemmio l’uva, la metto al sole, pigio e poi faccio fermentare il vino nelle cisterne d’acciaio. Non avevo enologi, eravamo solo io e i contadini. Ho pensato: se va male, me lo berrò io. Per fortuna non è andata così».
Dai 15 ettari vitati di proprietà, più altri da vecchie colonie in gestione, Mariolina, oggi aiutata dalla figlia Beatrice con la consulenza dell’enologo Giuseppe Liotti, produce anche vini secchi. C’è il Dromos Bianco 2017, greco di Bianco con saldo di guardavalle, un altro vitigno autoctono della Locride, da uve vendemmiate precocemente verso la metà di agosto, che ha un profumo antico, rustico, un palato morbido-alcolico, dai toni di albicocca.
C’è il Siccagno 2018, greco di Bianco in purezza («Non era prassi usare le uve del Greco di Bianco per fare un vino secco») dai toni rustico-erbacei, con sentori sprezzanti d’agrume, palato succoso, morbido, mediterraneo, balsamico.
C’è il Violet 2017, l’ultimo nato della casa, un rosato da una vecchia vigna ad alberello di gaglioppo e nerello calabrese situata a Sant’Anna. Ha colore rosa intenso, profumi di agrume rosso, rabarbaro, tamarindo, arancia sanguinella. Ha succo, scorza d’arancia, un che di ammandorlato, lieve visciola, buon carattere.
C’è il Dromos Rosso 2017, uvaggio di nerello calabrese e gaglioppo prodotto per la prima volta nel 2014: ha colore granato, profilo terroso, evoluto, caldo, ricco, rustico-verace, alcolico, di pasta succosa e tannica.
C’è infine il Piroci 2016 (il nome significa “trottola” nel dialetto locale), nerello calabrese con passaggio in tonneau di rovere francese, che presenta analogo colore granato intenso con sfumature prugnose, e così (di terra e di prugna) sono anche i suoi profumi; il palato è ricco, solido, maturo, caldo, con tannino di rango e forza tannica. Ma il vino principale di questa azienda e di questa terra è fuori di dubbio il Greco di Bianco.
Il Greco di Bianco è un delizioso quanto raro e misconosciuto vino passito prodotto in un fazzoletto di terra (una cinquantina di ettari vitati) tra Bianco, comune eponimo, e Casignana, lungo la Riviera dei Gelsomini, in un angolo ameno della Calabria grecanica.
Il Greco di Bianco 2013 ha colore ambrato intenso. Naso dai balenii canditi e salmastri: scorza d’arancia, pasta di mandorle, macchia mediterranea, sentori marini. Palato denso, “mobile”, contrastato, di dolcezza modulata e mai statica (la stucchevolezza qui non esiste), venature balsamiche, confettura, arancia su tutti, e poi tanto fico, tanta mandorla in pasta.
Il Greco di Bianco 2011 sfoggia un colore ambrato-rossastro, un profumo di erbe officinali, di genziana, di limonella, di elicriso, di macchia, poi un florilegio di agrumi canditi, un che di caramello e croccante, la noce. La bocca è setosa, fresca, balsamica, modulata, dolce/non dolce. Ancora la scorza d’arancia e le erbe aromatiche, nuance marine e mentolate, con sviluppo arioso e contrastato, fresco, lungo, continuo.
Il Greco di Bianco 2006, prima annata prodotta in una delle ultime mezze bottiglie bordolesi rimaste in cantina, ha colore ambrato-mogano-rossastro, con note olfattive di fico, di noce, di caramello, di albicocca secca. Palato mediterraneo, di confettura, di fico, di frutta candita, di uve al sole, di caramello balsamico, di foglia di castagno, di forza alcolica e freschezza salmastra.
In questo angolo di Locride non c’è Greco di Bianco senza Mantonico. L’omonimo vitigno, alter ego del greco, coltivato lungo pochi ettari, genera un passito pressoché invisibile quanto dotato di personalità, che radicalizza il portato salmastro, acido e dolce/non dolce del fratello maggiore. Il nome depone per la sua origine greca: proviene infatti dal greco mantonikos, da mantis-eos, indovino o profeta. Pare lo usassero nell’antica città magnogreca di Locri Epizephiri (i cui reperti sono visibili nell’area archeologica a sud di Locri) per favorire i riti divinatori.
Mariolina lo produce dal 2008. Il Mantonico Passito 2013 ha colore ambra scuro dai riflessi castagno-rossastri. Olfatto impregnato di fichi, datteri, uva passa, ebanisteria, mogano lucidato, fondo di caramello. Palato denso, grasso, tonico, contrastato, salmastro.
Il Mantonico Passito 2009 offre un colore ambrato-aranciato ricco di riflessi rossicci, nitidi profumi salmastri, insieme a toni candito-agrumati e sfumature balsamico-officinali. Palato morbido e contrastato, erbe aromatiche, ginepro, iodio, caramello salato, lungo e continuo.
Il Mantonico Passito 2008, prima annata prodotta, ha colore ambrato-mogano intenso e un’accensione olfattiva di fichi, iodio, nepitella, elicriso. Il palato è denso, fresco, dinamico, con input continui di macchia mediterranea, frutta candita, scorza d’arancia e un andante gustativo di temperata e invitante dolcezza a base di erbe aromatiche e officinali.
Palmento a Ferruzzano
Il palmento è un’antica vasca di vinificazione scavata direttamente nella roccia e utilizzata in età ellenistica, romana e moderna fino alla metà del Novecento. Di diversa grandezza e forma (quadrata, rettangolare, perfino esagonale), è composto da due vasche in pietra sovrapposte collegate da uno o più fori. Alcuni hanno impresse delle croci, di tipo bizantino e latino, che ne permettono la datazione.
Secondo la leggenda, il vino Greco di Bianco è stato prodotto fin dall’arrivo dei coloni ellenici nel lontano VII secolo a.C. per opera di un contadino greco che aveva portato con sé alcuni tralci della vite della sua terra presso il promontorio di Zefirio, l’attuale Capo Bruzzano, le prime citazioni storiche arrivano invece nel XVII secolo con la Calabria Illustrata di padre Giovanni Fiore.
Nel 1843 Giuseppe Raffaele Raso parla del vino Greco come «il più ricercato ed il più squisito della Provincia. Se provenisse dal Reno, dal Capo, da Madera, dal Tokai, da Lunelle, non basterebbe danaro a pagarlo» (Quadro statistico de’ Distretti di Palmi e Gerace nella prima Calabria Ultra). La produzione confidenziale e il decentramento geografico non aiutano la diffusione e la conoscenza di questa perla passita d’Italia e di Magna Grecia, unica Doc regionale dedicata a un vino dolce. Mariolina lo produce secondo tradizione, con appassimento all’aperto delle uve per una decina di giorni e maturazione del vino in tonneau di rovere francese.
Il grande palmento sommerso di Capo Bruzzano