Il Greco di Bianco, uno dei più remoti vini della Magna Grecia, è completamente immerso in queste seduzioni, tant’è che nel suo antico metodo di produzione, tuttora in larga parte utilizzato, riecheggiano i versi di Opere e giorni, il poema didascalico composto da Esiodo nel VII secolo a.C. al quale non sono certo alieni lirismi e riverberi mitologici: “Quando poi Orione e Sirio giungono a mezzo del cielo e l’Aurora dalle dita di rosa (in greco ῥοδοδάκτυλος Ἠώς – leggi ‘rhododáktylos Ēos’: come poteva una civiltà capace di un così soave idioma non pensare in forma mitologica?) vede Arturo, allora, o Perse, raccogli e porta a casa tutti i grappoli: li terrai al sole per dieci giorni e per dieci notti, per cinque invece all’ombra; al sesto giorno, poi, porrai nei tuoi vasi i doni di Dioniso giocondo”.
Pare incredibile, ma sono proprio questi i tempi scelti ancora oggi dai produttori di Bianco per fare appassire le loro uve. O almeno così fa Mariolina Baccellieri, che vendemmia i grappoli di greco non oltre la seconda decade di settembre e, prima di vinificarli, li lascia dieci giorni stesi al sole su graticci di canne. Il suo Greco di Bianco, in una veste dorata ed ambrata avvolta da profumati richiami di miele, fichi, mandorle, frutta essiccata e aromatici fiori appassiti, ridesta la calda, suadente e per certi versi enigmatica sensazione che sempre colpisce, rincontrandoli, chi è avvezzo a questi luoghi di Calabria. Persino le lievi sfocature, dal fascinoso sapore ancestrale, altro non fanno che calare ancor più a fondo i sensi in un’atmosfera vagamente onirica, dove uno sfolgorante Sole sembra rischiarare nuove e potenti visioni mitopoietiche.